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L'UOMO E' CAMBIATO?

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: uomo (4), trasformazione (1), Pascal (1), senso (1), miseria (1), cambiamento (3), grandezza (1), antropologia (1)
L'UOMO E' CAMBIATO?

“L’uomo nel corso dei secoli è sempre rimasto lo stesso: la sua fondamentale struttura antropologica non è mutata”. Questa affermazione, sentita in una recente conferenza, è ancora vera? L’impressione è che i cambiamenti culturali cui stiamo assistendo da alcuni decenni, sulla spinta delle potenti trasformazioni tecnologiche che ci pervadono tutti, stiano modificando non solo alcuni aspetti esterni dell’essere umano, ma anche il suo mondo interiore e il suo “funzionamento” interno. Nei giorni scorsi, precisamente il 19 giugno, papa Francesco ha pubblicato una lettera apostolica per ricordare i 400 anni dalla nascita di Blaise Pascal (1623-2023), il filosofo e scienziato francese che, dopo una profonda e sofferta ricerca della verità, ha scoperto “il Dio di Isacco, di Abramo e di Giacobbe”, cioè “il Dio vivo e vero, non quello dei filosofi o degli intellettuali”.

Il suo percorso di avvicinamento e scoperta di Dio è paradigmatico: lo si intravede anche in altri grandi pensatori del passato, come ad esempio san Paolo o sant’Agostino. In breve, e con forti semplificazioni, si può dire che il cammino di Pascal prende avvio dall’osservazione della condizione dell’uomo che è allo stesso tempo caratterizzato da “grandezza e miseria” (è questo anche il titolo della lettera del Papa). L’uomo, secondo Pascal ma anche secondo altri grandi spiriti dei secoli precedenti, è abitato da un potente desiderio di felicità e di pienezza di vita, di cui sperimenta però l’impossibilità. Egli si trova diviso, drammaticamente teso verso degli ideali straordinari (sublimità dell’uomo) e inchiodato a terra dalle sue fragilità e contraddizioni (la sua miseria).

Questa lacerante condizione, per Pascal, ha come unico sbocco l’apertura al trascendente, alla fede: solo in Dio, e precisamente solo in Gesù Cristo, può trovare pace questa dolorosa e disperante contraddizione che attanaglia chi guardi con verità sé stesso. «Il cuore dell’uomo è inquieto – scriveva Agostino – finché non riposa in Dio». Se stanno veramente così le cose, allora, per avvicinare l’uomo a Dio basta metterlo veramente a contatto con sé stesso: con la sua grandezza e con la sua miseria. E lì si aprirà lo spiraglio per comprendere i suoi desideri più profondi e – in questi – emergerà anche lo spazio per l’incontro con il trascendente, con Dio.

Oggi, tuttavia, l’uomo funziona ancora così? Sente la drammatica tensione pascaliana tra grandezza e miseria? Si sente – per dirla ancora con Pascal – “una canna sbattuta dal vento”, seppure “una canna pensante”? Percepisce ancora il bisogno di senso e l’angoscia della condizione umana che i filosofi esistenzialisti hanno denunciato e che spesso si è rivelata come porta di accesso al mistero di Dio? L’impressione è che oggi si stia facendo strada un altro modello di uomo. Che accetta – almeno apparentemente – senza tanti drammi la sua condizione di finitudine e di essere-per-la-morte. Che non si fa troppi crucci se la felicità non si può raggiungere e si accontenta di quello che “questo” mondo gli offre. Un uomo senza troppe idealità, senza troppe ambasce, che si trova tutto sommato a suo agio dentro questo mondo e non cerca risposte dall’alto. Un uomo, insomma, tutto dentro l’orizzonte mondano, che non guarda oltre, che non cerca più lontano. Non necessariamente felice, ma nemmeno lacerato interiormente... Un uomo, in un certo senso, “naturale”, assestato bene nell’al-di-qua, con i suoi dispositivi elettronici, le sue strategie di benessere, le sue sicurezze umane: senza alcun desiderio di un aldilà, di un soprannaturale, di un divino, di cui non sembra sentire alcuna nostalgia.

Quale annuncio di fede proporre ad un uomo così? È possibile ancora – ad un tale uomo – proclamare un orizzonte “altro”, sebbene non ne senta alcun bisogno, alcun desiderio, alcuna nostalgia? Forse, dirà qualcuno, proprio come ha sperimentato Pascal, bisognerà aiutare l’uomo di oggi a mettere bene i piedi per terra e a fare i conti con la “grandezza e miseria” che lo caratterizza. O forse – senza passare necessariamente per angosce e drammi interiori – fargli intuire che Dio è una proposta libera e liberante, che non viene all’uomo solo nella debolezza o nella malattia, solo quando egli si scopre miseria e nullità. Ma anche nel bene e nel bello, nella forza e nella vita. Anche Pascal, in realtà, Dio non lo ha incontrato a furia di ragionamenti e di drammi interiori, ma perché ad un certo punto Dio stesso gli si è rivelato come fuoco, come vita, come pienezza di felicità: un incontro di pura grazia che Blaise non ha più dimenticato.

Alessio Magoga

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