Tre verbi per il Natale
La riflessione sul Vangelo della domenica.
Domenica 25 dicembre - Natale del Signore - messa dell’aurora - salmi propri - colore liturgico bianco Oggi la luce risplende su di noi Is 62, 11-12; Sal 96; Tt 3, 4-7; Lc 2, 15-20
La messa dell’aurora della festa del Natale vede i pastori che si muovono per dare risposta all’annuncio dell’angelo. Ci lasciamo guidare in questa liturgia da tre verbi: annunciare, vegliare, attendere. Annunciare. Annuncio formidabile: “Oggi nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore”, notizia-bomba, diramata in sintesi concisa, in tempo reale, senza il supporto di telecamere Rai, Mediaset, satellitare, ma consegnata da veri e propri messaggeri dell’etere. Gli speaker, con un’improvvisa conferenza stampa notturna, sono gli angeli, non tanto in carne e ossa, quanto in spirito e ali.
Annuncio rivolto ai primi “vaticanisti” della storia, i pastori, gente inaffidabile, che comunque – anche senza l’aiuto della L sala stampa vaticana – riferiscono la cosa, in odore di scoop sensazionale e sconvolgente: “Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che dicevano i pastori”. Vegliare. I pastori che vegliano di notte facendo la guardia al loro gregge rappresentano la porzione di Israele che, nelle notti della storia, tiene desta e custodisce l’attesa dei padri e sono in grado di riconoscere nel “bambino che giaceva nella mangiatoia” l’adempimento delle antiche promesse. “Vegliano di notte”: scrutano il buio della notte per prevenire ogni pericolo. Si scambiano solo parole necessarie, vegliano nel silenzio, eppure restano spiazzati, interdetti, terrorizzati: “Essi furono presi da grande spavento”. In quell’incredibile modo si attuavano le parole dell’antico profeta: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…”.
Attendere. Vegliare e attendere! Questo insegnano i pastori. Pigri e impazienti; dormiglioni e interventisti; veglia e attesa sono dimensioni costitutive del nostro essere. Tutta la vita, anche se in apparenza non sembra, si conserva nell’attesa. Un’attesa racchiusa tra il sogno notturno e il tentativo diurno di attuarlo; tra l’atto compiuto e ciò che compiremo. Occorre uno sguardo da contemplativi per accorgersi che Dio è con noi.
La gioia del cristiano non risiede nella soddisfazione puramente umana di aver ottenuto un successo di qualsiasi tipo. La gioia del cristiano è il frutto di un abbandono confidente nelle mani di Dio, che si realizza in maniera concreta nell’osservanza della sua volontà. Qui sta il salto di qualità, che fa cambiare tono a tutta una vita. Per amore dell’umanità Dio si è fatto bambino. Da qui sgorga un messaggio di speranza in questo mondo che rischia di non sperare più; un fascio di luce in questo mondo che sembra sprofondare nelle tenebre. Un bambino che nasce è un destino nuovo che si apre, una speranza che si ridesta. Non è una favola, Egli è parte della storia umana: parliamo di “incarnazione” per indicare il principio di una nuova creazione, nella quale quel Bambino, il Figlio, ci ha insegnato a chiamare Dio come “Padre”. È difficile o facile entrare in questa esperienza? Io non lo so… so solo che è tremendamente bello! È questa bellezza che salverà il mondo. Cos’è che conta veramente? “… abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore” (Sal 27, 4).
Don Piergiorgio Sanson
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