Tutto qui?
Le riflessioni sul Vangelo domenicale
Geremia è un uomo mite e pacifico, ma è chiamato da Dio a rivestire il ruolo di suo profeta e a porsi perciò in perenne contrasto con la società del suo tempo. È un contestatore accanito e lo è perché ha coscienza di essere “voce di Dio” che giudica e condanna gli opportunismi, i camuffamenti, i tradimenti verso l’alleanza con Dio. Geremia avrà vita difficile. Sarà perseguitato. Questa esperienza porterà il profeta a scoprire la fede, non come esigenza che scaturisce dalla legge, ma dal cuore. Il polo d’orientamento per vivere non è la legge, ma l’amore. “Prima di formarti nel seno materno già ti conoscevo”. Sono parole che non si rivolgono solo a Geremia, ma anche a ciascuno di noi. Ciascuno di noi è pensato, amato, conosciuto e desiderato dal cuore di Dio e come tale destinato a svolgere una missione coraggiosa. Il G ruolo del cristiano è proprio questo! Il cristiano non è un accodato alla mentalità comune, ma ci sta dentro per essere lievito e cambiarla. L’omertà non è mai virtù cristiana e non lo è nemmeno la pretesa di piegare Dio ai propri interessi.
A Nazaret invece lo pretendevano perché non capivano che Gesù non era venuto tra loro a fare il distributore di miracoli e neanche era venuto per fare il loro “medico condotto”, il loro guaritore. Gesù nella sinagoga di Nazaret, tra quelle pietre che lo avevano visto bambino, dai 12 anni in poi, dopo essersi maturato nella fede nell’ascolto settimanale della Parola per poter compiere le “cose del Padre suo”, eccolo ora ad attualizzare quella Parola di vita proprio con la sua stessa presenza. C’è chi da uno stupore iniziale passa ad una reazione di perplessità e di pretesa cattiva. Ripetono quella paroletta terribile e tristissima, che annulla il gioco stupendo di Dio: “Tutto qui?”. E questo vale anche per noi di fronte all’intervento di Dio nel nostro quotidiano. C’è chi si meraviglia, chi accoglie, chi sa stupirsi. Ed apre il cuore, benedicendo Dio per le parole di grazia ascoltate, e dice: “Che bello!, che cose grandi fa l’Onnipotente nella mia vita!”. E c’è invece chi, pur davanti ad eventi eloquenti di grazia, riduce tutto alla banalità di un quotidiano, mai superato e mai trasformato. Anzi, con l’espressione “Tutto qui?” non fa altro che porre davanti ai suoi occhi una pretesa assurda ed ingannevole. “Non è il figlio di Giuseppe?” dicono gli abitanti di Nazaret.
Certo che lo è, anche se non in senso fisico. Ma se per Gesù quelle sue mani di lavoro erano gloria, per la gente di Nazaret non bastano. Il volto sudato di Giuseppe non è sufficiente. Pretendono gli stessi prodigi compiuti da Gesù a Cafarnao. Esigono un Messia comodo che moltiplichi il pane. E non un uomo che si guadagna il pane con il sudore della sua fronte. E allora si alzano e lo cacciano fuori dalla città, ponendolo sul ciglio del monte, per ucciderlo. Capita tante volte anche nelle nostre comunità cristiane. Passiamo facilmente da un cuore entusiasta, quando qualcuno mandato da Dio accarezza la nostra vanagloria, alle pretese e al giudizio di chi quella parola cerca di attualizzarla in un oggi chiarificatore, che ci chiede conversione. Ma noi rimandiamo sempre a domani la conversione della vita. Decidersi su due piedi, subito, costa. Allora tentiamo di scaricarlo giù dal monte, lo defenestriamo da casa, dalla vita. Risultato: Cristo se ne va da “gran Signore” e resta Dio. Ma Nazaret è restato senza Cristo. E la vita senza di Lui non vale nulla.
Don Piergiorgio Sanson
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