IL BENE NON MUORE
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga
Caro don Roberto, la notizia della tua morte è arrivata improvvisamente, nella mattinata di martedì, a turbare le giornate ed a provocare le coscienze di molti di noi. Abbiamo letto che un senza tetto, che tu conoscevi bene e che avevi aiutato più volte, ti ha colpito a morte con un coltello. Lo ha fatto durante il tuo giro consueto per le colazioni che portavi ai poveri ed agli emarginati della tua città, Como. Ti ha ucciso uno straniero con problemi psichici che si è subito costituito e che, molto probabilmente, stavi cercando di aiutare per l’ennesima volta. Le indagini sono in corso ed appureranno ulteriormente le dinamiche e le motivazioni dell’omicidio. Sei morto così, nel giorno della memoria della Madonna addolorata, nello stesso giorno in cui è stato ucciso don Pino Puglisi, ammazzato dalla mafia perché “prete scomodo”. Sei morto a soli 51 anni: un prete “giovane” diremmo noi, con “soli” 22 anni di messa alle spalle. Ieri sera alla veglia di preghiera, presieduta dal tuo vescovo, mons. Oscar Cantoni, la gente non ci stava nella Cattedrale: erano tanti quelli che non hanno trovato posto in chiesa e che hanno pregato in silenzio all’esterno. Un tributo di affetto e di stima altissimo nei tuoi confronti, ma anche nei confronti del tuo operato, soprattutto nei confronti del modo in cui hai voluto vivere il tuo sacerdozio: uno stile che fa impallidire certe scelte mediocri e certe forme di vita imborghesite di preti e di consacrati, ma anche di tanti laici cristiani.
La notizia della tua morte è venuta a disturbarci, a scomodarci, a porre tante domande a ognuno di noi. Quale prete, consacrato o laico sono? Che cosa sono disposto a rischiare per Cristo? Quali scelte e quale radicalità sono disposto ad accogliere ed a rischiare per lui? Quanto sono disposto a entrare nella logica del dare senza aspettare nulla in cambio? Tu, per il Vangelo, hai messo in gioco davvero tanto di te stesso: la tua vita. Credo che tu avessi consapevolezza dei rischi che correvi, ma questo non ti ha fermato, né ti ha impedito di portare avanti, in comunione con la tua chiesa diocesana, il tuo progetto di attenzione e di cura verso i bisognosi della tua città. In questi anni hai operato senza fare rumore, lontano dai riflettori dei media e dei mezzi di comunicazione. “Don Roberto – ha detto di te il tuo vescovo, ieri sera – non è scappato davanti alle tante croci dei fratelli, non ha fatto grossi discorsi suoi poveri, non li ha distinti tra buoni e meno buoni, tra i nostri o gli stranieri, tra cristiani o di altre confessioni, ma si è prodigato con amore in totale umiltà, senza clamore e senza riconoscimenti di sorta. Amava agire in sordina, quasi di nascosto, in piena discrezione”. Ora non è tempo di fare sottili disquisizioni. Di distribuire colpe. Di strumentalizzare un episodio per portare acqua al proprio mulino e alla propria fazione politica. Non credo affatto che tu lo vorresti: sarebbe un insulto e una mancanza di rispetto verso di te e verso il modo in cui tu sei vissuto. Credo che dobbiamo prendere sul serio la tua testimonianza, che suona alle nostre coscienze come forte provocazione e decidere di vivere una vita più evangelica e più capace di riconoscere che nei poveri – senza alcuna distinzione di nazionalità – si rivela la “carne di Cristo”. Grazie, don Roberto, per averci ricordato con le tue scelte che il bene non muore.
Alessio Magoga
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