PIU' EUROPA PER LA PACE IN UCRAINA
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Non è il nome di una formazione politica, né un semplice auspicio. Ma una possibile direzione di marcia. È quella invocata dall’appello siglato solo qualche giorno fa da alcune associazioni e movimenti e dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, dal titolo inequivocabile: “Per una proposta di pace dell’Unione europea”. “L’Unione europea – si legge nell’appello – deve immediatamente operare con una sola voce, con la spinta concorde del Parlamento europeo e della Commissione, diventando un affidabile intermediatore e non delegando solo gli Stati Uniti d’America e alla Nato decisioni che riguardano in primo luogo l’Europa”.
Ora, tralasciando per un istante le osservazioni critiche che si possono muovere all’appello – come, ad esempio, quella di essere in alcune parti un po’ ingenua e troppo poco esigente nei confronti della controparte russa –, si deve riconoscere che il cuore del messaggio coglie nel segno: tra i protagonisti principali della gestione della crisi ucraina, a quattro mesi dal suo inizio, non sembra apparire ancora in modo adeguato l’Unione europea, quanto piuttosto le realtà citate prima o, al massimo, alcuni singoli capi di Stato. L’Unione europea, in quanto tale, stenta a trovare un ruolo centrale e invece potrebbe – il condizionale è d’obbligo perché dovrebbe essere accettata da entrambe le parti in conflitto, soprattutto dalla Russia – diventare decisiva in vista di una mediazione per ottenere la pace.
L’altro grande assente nella gestione del conflitto in Ucraina è, ancora di più, l’Onu, anch’esso giustamente invocato dall’appello, che “con una decise azione nei confronti del Consiglio di Sicurezza” potrebbe promuovere “l’invio di forze di interposizione sotto la bandiera delle Nazioni Unite, per garantire il rispetto del cessate il fuoco, facendo della protezione dei civili la loro priorità”. Vittima del meccanismo del veto, che può essere imposto da una qualsiasi delle Nazioni facenti parte del Consiglio di Sicurezza, l’Onu attende ormai da troppo tempo una profonda riforma.
L’appello, inoltre, riconosce che se si vuole portare la pace in Ucraina non è sufficiente inviare armi: la lenta ma progressiva avanzata delle forze russe in queste ultime settimane sembra evidenziarlo. Non sono del tutto sufficienti neppure le sanzioni economiche, che hanno un impatto importante sulle economie dei Paesi europei (e l’Italia in particolare) e la cui efficacia è in parte attenuata dalla Russia grazie ad abili triangolazioni con altri Paesi, soprattutto la Cina. È necessario ed urgente agire in modo più unitario come Unione Europea per la ricerca di un piano di pace in Ucraina, superando la logica delle iniziative individuali dei singoli capi di Stato europei, che in questi mesi hanno fatto la spola a Kiev e hanno telefonato ripetutamente – quanto inutilmente – a Putin. Se l’Europa non si riappropria di questo ruolo, la gestione del conflitto resterà agli Usa, alla Gran Bretagna, alla Nato oppure a intermediari improvvisati e poco affidabili come Erdogan (o Xi Jinping).
Martedì scorso, nonostante le fibrillazioni e poi la spaccatura del Movimento 5 Stelle, il governo Draghi ha incassato l’ok dal Senato circa la risoluzione di maggioranza delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Il testo approvato ribadisce la decisione dell’Italia di sostenere l’Ucraina attraverso l’invio di armi e le sanzioni economiche alla Russia, ma è anche affermata la volontà di un’azione comune con i partner dell’Unione europea per la ricerca della pace. Della guerra in Ucraina si parlerà nel Consiglio europeo, che si tiene il 23 e il 24 giugno e che vede incontrarsi i capi di Stato dei 27 Paesi dell’Unione europea: sarà un’occasione preziosa per verificare l’effettiva unità dell’Europa e soprattutto la sua capacità di essere veramente protagonista.
Alessio Magoga
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